"La politica non deve occuparsi della vita, ma della Convivenza"
Carissima Veronica, quale tuo ammirato allievo del benemerito corso di politica che hai avviato, vorrei esprimere alcune considerazioni in proposito.
Concordo che i politici, spesso (quasi sempre), non si occupano di politica; o meglio non si occupano di politica come questa dovrebbe essere intesa. Ma dissento sulla politica che “serve alla vita” (o Vita come la scrivi tu). Sebbene tale locuzione faccia intendere una necessità di pragmatismo o di occuparsi di cose concrete, vicine alla gente, di problemi più o meno gravi che si incontrano appunto vivendo; in tal modo si rischia di giustificare una invasione di campo da parte della politica verso la sfera del privato, dell’etica personale e delle “questioni di coscienza” che tu citavi. Tu ora penserai: “allora non hai capito niente!”
Provo quindi a spiegarmi meglio: io parto da un’ottica liberale della politica. La politica, più che della vita, dovrebbe occuparsi della “convivenza”, cioè delle forme e dei modi con cui i cittadini si rapportano tra loro; ma dovrebbe astenersi dal resto, che è il campo delle libertà, se non per tutelarne e rispettarne la sussistenza. In altre parole, secondo me il compito della politica e quello di tracciare i confini delle libertà individuali in modo che queste non si ostacolino a vicenda: il limite della libertà di ciascuno individua il diritto di una società.
Se la politica individua questi limiti, lo Stato e le istituzioni devono poi vigilare sul rispetto degli stessi tutelando la “zona franca” delle libertà individuali. Spesso invece la politica si occupa delle libertà o dei diritti “collettivi” relativi a gruppi sociali (classi), cellule sociali (famiglia), categorie sociali più o meno vaghe: ciò porta inevitabilmente a ledere, da qualche parte, le libertà individuali.
Se oggi abbiamo dei problemi con i Pacs, con l’eutanasia, con l’aborto, non è perché la politica non si occupa della vita, ma in un certo senso perché se ne occupa troppo; perché intende stabilire dei “modelli sociali” che portano inevitabilmente allo Stato Etico.
Ecco perché i liberali auspicano uno Stato “minimo”, che dopo aver determinato fino a dove possono spingersi le libertà individuali senza intaccare i diritti altrui (diritti che ormai sono da intendersi in senso ampio e complesso) si limiti a far rispettare questi “confini” con un’attività che potremmo definire “governo delle libertà”.
Del resto questo questo è il dibattito e la storia politica degli ultimi secoli. Gli illuministi, dopo aver intuito più o meno grezzamente la necessità di uno Stato liberale basato sulle libertà individuali sono stati attaccati dalle varie ideologie politiche “collettiviste”: il marxismo e il conseguente comunismo, il fascismo e il nazismo, ma anche dall’impostazione clericale e cristiana che preferisce mortificare l’individuo in favore della Chiesa o della famiglia.
Non possiamo negare che un grezzo liberalismo possa comportare gravi ineguaglianze sociali, ma è ormai assodato che laddove non ci si basi sulle libertà individuali, creando così istituzioni laiche e democratiche, non si ottengono risultati soddisfacenti.
Ecco che vengono in aiuto alcuni fattori correttivi che possono essere inseriti positivamente in uno stato liberale: mi riferisco ai cosiddetti “ammortizzatori sociali”, alla solidarietà, e alla sostenibilità; in modo che le libertà individuali siano effettive rispettivamente anche per i soggetti economicamente sfavoriti, per quelli intrinsecamente deboli e per le generazioni future.
Per il resto i diritti e le libertà individuali potrebbero confrontarsi e delinearsi secondo molteplici aspetti della nostra vita in modo da consentire il massimo di benessere per ciascuno.
Dico “potrebbero”, perché in effetti i politici si occupano di altro…
Ciao,
Ermanno Benedetti