27 dicembre 2005

"La politica non deve occuparsi della vita, ma della Convivenza"


Carissima Veronica, quale tuo ammirato allievo del benemerito corso di politica che hai avviato, vorrei esprimere alcune considerazioni in proposito.

Concordo che i politici, spesso (quasi sempre), non si occupano di politica; o meglio non si occupano di politica come questa dovrebbe essere intesa. Ma dissento sulla politica che “serve alla vita” (o Vita come la scrivi tu). Sebbene tale locuzione faccia intendere una necessità di pragmatismo o di occuparsi di cose concrete, vicine alla gente, di problemi più o meno gravi che si incontrano appunto vivendo; in tal modo si rischia di giustificare una invasione di campo da parte della politica verso la sfera del privato, dell’etica personale e delle “questioni di coscienza” che tu citavi. Tu ora penserai: “allora non hai capito niente!”

Provo quindi a spiegarmi meglio: io parto da un’ottica liberale della politica. La politica, più che della vita, dovrebbe occuparsi della “convivenza”, cioè delle forme e dei modi con cui i cittadini si rapportano tra loro; ma dovrebbe astenersi dal resto, che è il campo delle libertà, se non per tutelarne e rispettarne la sussistenza. In altre parole, secondo me il compito della politica e quello di tracciare i confini delle libertà individuali in modo che queste non si ostacolino a vicenda: il limite della libertà di ciascuno individua il diritto di una società.

Se la politica individua questi limiti, lo Stato e le istituzioni devono poi vigilare sul rispetto degli stessi tutelando la “zona franca” delle libertà individuali. Spesso invece la politica si occupa delle libertà o dei diritti “collettivi” relativi a gruppi sociali (classi), cellule sociali (famiglia), categorie sociali più o meno vaghe: ciò porta inevitabilmente a ledere, da qualche parte, le libertà individuali.

Se oggi abbiamo dei problemi con i Pacs, con l’eutanasia, con l’aborto, non è perché la politica non si occupa della vita, ma in un certo senso perché se ne occupa troppo; perché intende stabilire dei “modelli sociali” che portano inevitabilmente allo Stato Etico.

Ecco perché i liberali auspicano uno Stato “minimo”, che dopo aver determinato fino a dove possono spingersi le libertà individuali senza intaccare i diritti altrui (diritti che ormai sono da intendersi in senso ampio e complesso) si limiti a far rispettare questi “confini” con un’attività che potremmo definire “governo delle libertà”.

Del resto questo questo è il dibattito e la storia politica degli ultimi secoli. Gli illuministi, dopo aver intuito più o meno grezzamente la necessità di uno Stato liberale basato sulle libertà individuali sono stati attaccati dalle varie ideologie politiche “collettiviste”: il marxismo e il conseguente comunismo, il fascismo e il nazismo, ma anche dall’impostazione clericale e cristiana che preferisce mortificare l’individuo in favore della Chiesa o della famiglia.

Non possiamo negare che un grezzo liberalismo possa comportare gravi ineguaglianze sociali, ma è ormai assodato che laddove non ci si basi sulle libertà individuali, creando così istituzioni laiche e democratiche, non si ottengono risultati soddisfacenti.

Ecco che vengono in aiuto alcuni fattori correttivi che possono essere inseriti positivamente in uno stato liberale: mi riferisco ai cosiddetti “ammortizzatori sociali”, alla solidarietà, e alla sostenibilità; in modo che le libertà individuali siano effettive rispettivamente anche per i soggetti economicamente sfavoriti, per quelli intrinsecamente deboli e per le generazioni future.

Per il resto i diritti e le libertà individuali potrebbero confrontarsi e delinearsi secondo molteplici aspetti della nostra vita in modo da consentire il massimo di benessere per ciascuno.

Dico “potrebbero”, perché in effetti i politici si occupano di altro…

Ciao,

Ermanno Benedetti

17 dicembre 2005

A cosa serve la politica?


Buongiorno a tutti, benvenuti alla Lezione Zero del Primo Corso di Politica per Uomini di Buona Volontà. Si tratta, come facilmente comprenderete, di un corso estremamente esclusivo. Praticamente abbiamo raccattato solo un prestigioso iscritto, il presidente di Brescia Mobilità Ettore Fermi. E’ per somma riconoscenza nei suoi confronti che ci asteniamo dal commentare satiricamente l’aggettivo “Mobilità” in riferimento a “Brescia”.
Vabè, chi non ci vuole non ci merita, diceva quel tale. Oppure capita che chi è ignorante è così ignorante da non sapere che è ignorante (il contrario dell’Essenza della Saggezza secondo Socrate: sapere di non sapere). E qui già siamo entrati nel vivo della Lezione Zero, che ha come titolo: “A che serve la Politica?”

Innanzitutto, la Politica non serve per fare politica. Se vi sembra banale, è perché non avete mai seguito un congresso politico, mai una riunione del consiglio comunale, mai un direttivo, un’assemblea, financo un comizio, con la dovuta attenzione. Gli uomini (non di buona volontà) adorano fare politica per fare politica, cioè parlare per avere il piacere di ascoltare la propria voce che parla, per avere il piacere di gettare polvere negli occhi di alcuni o attrarre con arte e mestiere qualcun altro, per partecipare a giochi di società che hanno per obiettivo finale la Conquista di Un (piccolissimo, piccolo, medio, grandicello, grande) Potere. La politica fatta così è una sorta di Risiko molto più complesso con possibilità di fare alleanze, di lasciar intendere strategie, di tessere reti lodi inganni eccetera eccetera. Può anche essere appassionante, anzi meglio intrigante, proprio come un buon gioco di società, ma non è a questo che serve.
La Politica serve alla Vita. Letteralmente: è (o meglio dovrebbe essere) una sorta di “domestica” della Vita; tiene in ordine, butta via lo sporco, fa la spesa e tiene i conti, fornisce risposte alle esigenze di casa e così via. E invece, cosa rispondono loro, i politici senza buona volontà, quando dalla società si levano richieste di intervento? Di norma, che si tratta di “questioni di coscienza” su cui non è bene o non è interessante prendere posizione. Come se la domestica, anzi, scusate, al maschile viene meglio, Il Domestico di cui sopra passasse tutto il suo santo tempo stravaccato in salotto a parlare di come far funzionare la baracca, e davanti alla richiesta di preparare il pranzo perché tutti hanno fame, rispondesse che ha altro a cui pensare, e magari dispensasse qualche saggio insegnamento morale.
Il domestico (con tutto il santo rispetto per le domestiche vere, vi amo!) non ha ancora capito che, se vogliamo lezioni di morale, andiamo da chi ci pare a noi; che lo paghiamo, e profumatamente, perché ci tenga in ordine il salotto e non perché ci faccia, lui magari divorziato con una figlia piccola da una convivente molto più giovane, un sermone contro i Pacs che minano alle fondamenta l’onorabilità della Famiglia.
E adesso, al Domestico gli facciamo il corso, perché sbagliare è umano, ma perseverare…

15 dicembre 2005

Dalle quote latte alle quote rosa...

Dai: offendiamoci, ragazze.
Lo so che, solitamente, siamo troppo signorili e pratiche per sprecare preziose risorse in un’emozione così poco costruttiva. Figuriamoci. Si arriva a fine giornata con il peso di famiglie (quella attuale più almeno quella di origine), di figli vari, della propria professione, più, in qualche caso particolarmente patologico, magari l’impegno civile e politico; sei talmente stanca che non ti offendi per calcolo ed ottimizzazione delle risorse vitali.
Però adesso basta, dai, offendiamoci. Abbiamo glissato sulle orrende quote rosa, che evocano tristemente le quote latte assegnate dall’unione europea alle vacche italiane (e che cavolo!). Siamo state lì zitte zitte buone buone pensando che, per Amor di Patria e del Bene Comune, si potesse abbozzare e digerire la vicenda. Ma adesso esagerano.

Come gli è venuta questa ideaccia al Ministero delle Pari Opportunità di organizzare delle “scuole di politica” per donne? Non si rendono conto che è un tremendo autogol? Una delle organizzatrici, Marzia Barbera, si è posta il quesito e ha dichiarato che le donne, “in alcuni momenti di rafforzamento”, devono lavorare fra di loro per “prendere coscienza della propria forza”. Fatto sta che, anche a Brescia, hanno tenuto un corso alla facoltà di Giurisprudenza per “introdurre le donne nei processi decisionali politici”, il tutto con un’ottica “alle tematiche di genere”. Il corso ora è terminato con articoli folcloristici che hanno descritto le 150 fanciulle partecipanti come “vivaci” e “curiose”, “attente” e “sensibili”, tanto da stupire il corpo docente, sopraffatto da cotante virtù. Leggendo i resoconti sembrava di sprofondare negli anni Cinquanta, quando si descrivevano le prime pioniere alle prese con la guida dell’automobile e si ironizzava sul fatto che chissà quante ammaccature avrebbero causato al parafango, guidando e incipriandosi il bel nasino.

Le donne non hanno bisogno di essere pigliate per i fondelli con le scuole di politica. Hanno bisogno di condurle loro, delle scuole di politica, da far frequentare ai tanti rintronati di sesso maschile che si ritrovano alle leve di comando senza né aver fatto scuola di politica, né probabilmente aver fatto alcuna scuola di Vita. Rintronati che pontificano e ingeriscono su “faccende di donne” quali libertà di scelta in materia di contraccezione e maternità senza nemmeno chiedere permesso, e che continuano insopportabilmente a trattare le donne come delle minorate da istruire (poverine se no non capiscono), trovando in questo (sigh) la complicità di altre donne.

Mi ribello. Fondo oggi testè, su questo blog, una Scuola di Politica per Uomini.